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La Papaya Fermentata


Le Proprietà Antiossidanti della Papaia Fermentata


Dopo le voci che volevano il miglioramento delle condizioni di salute del Papa di due anni fa dovute ad un preparato a base di Papaia fornitogli dal professor Jean Montaigner, del frutto esotico sono ancora più note le virtù benefiche per l'organismo. Occorre però distinguere tra le proprietà antiossidanti del frutto presenti allo stato naturale, e quelle, più marcate, da esso acquisite al termine di una fermentazione alcolica a bassa temperatura della durata di 8 - 10 mesi. Secondo Pierre Mantello direttore di ricerca presso l'Osato Research Institute, in Giappone, è solo la papaia fermentata a presentare tali proprietà benefiche. Secondo Mantello, la papaia fermentata, assunta come come un integratore alimentare, è in grado di stimolare il sistema anti-ossidante e possiede un effetto immunostimolante. Le proprietà antiossidanti consentono all'organismo di difendersi da quello che gli esperti chiamano lo stress ossidativo, cioè l'eccesso di radicali liberi presenti nell'organismo. Si tratta di una vera e propria sindrome, che e ritenuta coinvolta in numerose malattie come alcune forme di cancro, la cataratta e probabilmente anche il diabete, la malattia di Alzheimer, alcune forme di reumatismi e le malattie cardiovascolari, oltre che nell'accelerazione dell'invecchiamento. Agendo sullo stress ossidativo, la papaia fermentata aprirebbe la via a terapie preventive. Numerosi gruppi di ricercatori hanno lavorato sull'argomento, con risultati a volte notevoli, senza, fino ad oggi, constatare alcun effetto secondario. La papaia fermentata, sotto forma di integratore nutrizionale può essere considerato come un trattamento integrativo, in associazione con i medicinali classici.

Da:www.italiasalute.it

Pubblicato da Amministratore di lunedì 15 settembre 2003 alle ore 18:58

Qualità della vita pazienti affetti da Linfedema

Linfedema

Dodici donne su cento sviluppano un tumore alla mammella, di queste oltre il 30%, è soggetto ad un edema linfatico secondario, entro i dieci anni successivi all'intervento.
E' questo il dato che è emerso, ieri, nel corso del convegno tenuto presso la sede di via Orsi a Napoli, dalla Fondazione scientifica Prometeo e che aveva per tema "La qualità della vita dei pazienti affetti da linfedema".
Al tavolo dei relatori, erano seduti tra gli altri, medici di indiscussa fama come il Belga Jean-Paul Belgrado, specialista in linfologia ed assistente all'università di Bruxelles e la napoletana Maria Antononietta Ciotola, chirurgo specializzato in medicina fisica e riabilitazione.
"I fattori che determinano questa patologia - ha spiegato Belgrado - possono essere molteplici. Si va dal linfedema (gonfiore degli arti causato dal sistema linfatico) sviluppato in maniera spontanea, a quello, e qui la casistica purtroppo cresce di numero, cosiddetto secondario, che può scaturire cioè, a seguito di un intervento chirurgico di asportazione, come il tumore alla mammella; dal numero di linfonodi asportati o dall'eventuale terapia radiante effettuata". Una malattia che per quanto diffusa, sarebbe spesso però sottovalutata dagli addetti ai lavori.
"Il linfedema - ha riferito lo specialista, di fronte ad una platea fatta in prevalenza da professionisti della riabilitazione - rimane un sintomo che deve essere preso in seria considerazione, perché la paziente reduce da un intervento chirurgico, avendo già vissuto il trauma del carcinoma, deve vivere con questo arto deforme che non solo può portare a conseguenze spesso gravi, ma che vita natural durante, ricorderà all'ammalato la sua storia tumorale. Duole constatare - ha continuato Belgrado - che oggi, ci sono ancora medici che ai propri assistiti dicono: Signora ha superato il tumore, adesso impari a convivere con questo handicap". Tutto questo accadrebbe a dispetto delle tecniche che oggi la scienza mette a disposizione dell'uomo. "Ci sono - ha detto - terapie fisiche come il linfodrenaggio manuale, la presso - terapia, i bendaggi multistrato e la tensione elastica, che permettono di ridurre notevolmente il volume di questi arti edematosi. Queste tecniche - ha concluso Belgrado - devono essere portate a conoscenza del corpo medico e praticate da fisioterapisti, formati in modo adeguato". "La formazione e la preparazione del personale medico - ha aggiunto la dott. Ciotola - è fondamentale. Un corretto e tempestivo approccio diagnostico e terapeutico, risulta, infatti, fondamentale e spesso vitale per il paziente. Così, come pure è importante la collaborazione a 360° di più figure professionali quali fisiatri, oncologi, chirurghi e fisioterapisti"

Gianni

Pubblicato da Gianni di domenica 6 luglio 2003 alle ore 20:57 Commenti (0)

Un Rimedio per la Tiroide ?

Melissa officinalis

Sono una studente in biologia marina e sono una grande appassionata in erboristeria . Vorrei segnalarvi un episodio: mio padre ha subito un operazione alla tiroide (gli é ne stata asportata metà) dopo la comparsa di noduli ed ora é in cura a base di ormoni (THS) per mettere a riposo l'altra metà. Durante questo trattamento pero' la sua tiroide ha continuato a crescere e sono comparsi ulteriori noduli fino a che non gli ho somministrato una tisana a base di melissa a cui é stata attribuita una certa capacità antitiroidea.
Dopo aver assunto regolarmente tale preparato, nell'ultima visita di controllo é risultato che la sua tiroide é ritornata alle dimensioni normali ed anche i noduli sono scomparsi. Io penso che utilizzare la melissa in concomitanza alle cure ormonali potrebbe essere di aiuto nell'evitare costosi e pericolosi interventi chirurgici alla tiroide considerando che quest'erba é priva di tossicità ed anche economica oltre che facilmente reperibile. C'é da dire che l'endocrinologo che lo ha in cura sia rimasto piuttosto sconcertato data l'evidenza di questa inaspettata regressione del "male" e mi istupisce il fatto che non sapesse niente ne della melissa ne delle sue "miracolose" proprietà. Come biologa mi piacerebbe portare avanti questo tipo di sperimentazione considerando che i casi di disfunzioni di questo genere sono molto diffusi tra le genti delle mie parti(montanari molisani) e non solo.
Spero che il mio articolo venga pubblicato almeno per far sapere a chi ne ha bisogno che molti mali possono essere controllati, seppur limitatamente, anche con semplici rimedi "contadini" e che la ricerca nella fitoterapia é ancora un campo aperto a nuove e benefiche sorprese.

Picciano Marialucia

Pubblicato da Picciano Marialucia di giovedì 5 dicembre 2002 alle ore 23:24 Commenti (5)

Il Fitocomplesso delle Piante Medicinali

ATTIVITÀ TERAPEUTICA GLOBALE DELLE PIANTE MEDICINALI

In contrapposto al principio della molecola pura e farcologicamente attiva, stanno le piante medicinali e le loro droghe, il cui impiego è sempre integrale: di esse, infatti, non si adopera mai un composto chimico puro, isolato in seguito a una serie di operazioni tecnologiche, ma si adopera sempre la droga integrale o le sue preparazioni galeniche.
Nel paragrafo precedente abbiamo veduto come, nelle droghe vegetali, gli Autori distinguano comunemente due pani: i "costituenti attivi" e i "costituenti inerti". Questa suddivisione è del tutto arbitraria e ammissibile soltanto ai fini di una sistematica espositiva o di una classificazione didattica.
In realtà, la pianta medicinale è un organismo unitario nel quale ogni suo costituente ha una propria ragione di essere nella economia fisiologica della pianta stessa; soltanto ai fini dello sfruttamento umano questo o quel costituente può essere considerato attivo o inerte, utile o insignificante, principale o secondario. Nella economia di una pianta, tutti i suoi costituenti hanno un preciso significato ed esercitano una determinata funzione, e tutte queste funzioni interferiscono tra loro dando luogo, nella loro interazione, al metabolismo della pianta.
Ora, se noi isoliamo da una pianta medicinale un suo costituente farmacologicamente attivo privandolo dell'intera corona di costituenti inattivi che lo accompagnano, noi priviamo quel costituente farmacologicamente attivo di tutte le capacità modificative e integrative che Natura gli aveva dato attraverso gli altri costituenti che lo accompagnavano: enzimi, amidi, cere, albumine, mucillagini, gomme, resine, pigmenti, olii essenziali, sali minerali e via dicendo.
Il vino, per esempio, è un prodotto naturale derivato. dalla fermentazione del succo d'uva: esso ha proprie qualità organolettiche, proprie capacità nutritive e, perché no, proprie capacità farmacologiche. Ora, se noi dessimo il vino a un chimico-farmaceutico perché ce ne isolasse il principio attivo, egli ci darebbe una certa quandi alcool etilico puro. Ebbene, Voi non mi direte davvero che l'alcool etilico puro, pur essendo il costituente attivo del vino — mentre l'acqua, i sali minerali, i pigmenti e tutto il resto sarebbero i costituenti inerti —, Voi non mi direte davvero che l'alcool etilico può sostituire il vino! Egualmente un principio attivo di una pianta medicinale non può sempre sostituire il complesso costitutivo dei pianta stessa.
E non lo può sostituire, perché le sostanze cooddette "inerti" modificano spesso l'assorbibilità, l'attività, la tossicità dei costituenti "attivi".
Molti sono gli esempi che si potrebbero citare.
Quando dalle piante contenenti sostanze tanniche come dal rizoma della Potentina erecta Hampe (tormentilla), venne isolato il tannino allo stato puro, si pensò di poter sostituire questo principio attivo alla droga polverizza o al suo decotto nella terapia della diarrea: ebbene, ai risultati clinici si osservò che il principio attivo agiva in maniera intensa, troppo brutale, troppo drastica, mentre la droga naturale agiva in maniera più blanda, più graduale più tollerata dai pazienti e risultava, in ultima analisi terapeuticamente più attiva. Qual'era la ragione di questo fatto? Il tannino puro esercitava la sua azione come molecola attiva non corretto da nessun palliativo, mentre nella polvere del rizoma di Potentina erecta Hampe, o del suo decotto, entravano in gioco tutte le altre sostanze "inerti" presenti nella droga — amidi, gomme, resine, sali minerali, ecc. —, sostanze che rallentavano l'assorbimento del principio attivo e lo rendevano più atto a compiere la sua azione terapeutica.
Contro la stitichezza, si usano oggi i glucosidi antrachinonici che sono il principio attivo di molte droghe — Aloè ferox Mili. (aloe), Cassia senna L. (senna), Rhamnus frangula L. (frangola), Rheum palmatum L. (rabarbaro) e molte altre specie degli stessi generi —; orbene, nessuno mette in dubbio l'attività di questi antrachinoni i quali, però, assorbiti allo stato puro possono dare assuefazione e disturbi di varia natura, a seconda della sensibilità dei pazienti.
La somministrazione di questi principi nell'intera droga in cui essi sono contenuti allo stato naturale, attenua la loro tossicità, ne evita l'assuefazione e ciò per la presenza dei costituenti "inerti" che modificano, graduano, regolano l'azione dei costituenti "attivi".
Lo stesso ragionamento vale anche per i preparati contenenti i glucosidi della digitale: dalle foglie della Digitalis purpurea L. (digitale) sono stati infatti separati per via chimica i principali suoi costituenti “attivi”: la digitossina, la gitalina. Questi principii, perfettamente normalizzabili e dosabili, non esercitano tuttavia, l'azione terapeutica completa della foglia di digitale in quanto privi di quei costituenti “inerti” presenti nella foglia della pianta, costituenti che facilitano indirettamente l'espletamento delle attività cardioattive dei glucosidi puri; nelle foglie di Digitalis purpurea L., infatti, oltre ai glucosidi specifici sono presenti saponine — come la digitonina — alle quali si attribuisce la capacità di potenziare l'attività dei glucosidi cardioattivi modificandone la solubilità, e sono presenti sali minerali, che sembrano potenziare l'attività dei glucosidi, come il calcio, o abbreviarne la durata di fissazione sul tessuto cardiaco, come il potassio. Per questi motivi, vi sono ancora cardiologi che preferiscono somministrare ai loro pazienti foglie di digitale polverizzate anziché i singoli glucosidi.
Da quanto abbiamo sin qui esposto, ne consegue il principio generale che l'impiego delle piante medicinali intere, o delle loro preparazioni galeniche, danno effetti terapeutici diversi e spesso più complessi di quelli ottenibili con l’uso dei soli principi attivi contenuti in quelle stesse piante

Da: Edizioni OEM - Autore G. Penso

Pubblicato da Amministratore di lunedì 4 novembre 2002 alle ore 00:24

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