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La Menopausa

MENOPAUSA

Con la menopausa si interrompe il ciclo mestruale nelle donne. Essa usualmente si manifesta quando una donna raggiunge i 50 anni d'età. La regola comunemente accettata per diagnosticare la menopausa è rappresentata dall'assenza del ciclo per un periodo compreso tra i 6 e i 12 mesi. In genere ci si riferisce a questo arco di tempo, che precede la definitiva diagnosi di menopausa, come al periodo "peri-menopausa", mentre il periodo di tempo che segue è definito "post-menopausa".
L'approccio medico attuale considera la menopausa come una malattia più che come un normale processo fisiologico. Questa visione è in netto contrasto con il punto di vista di numerose culture, che nella menopausa vedono una fase naturale del processo della vita, nonché un evento positivo nell'esistenza di una donna.
Infatti in numerose parti del mondo, la maggior parte delle donne non va soggetta ai sintomi associati alla menopausa. Questa osservazione solleva alcune interessanti domande sul fatto che la menopausa sia un evento socioculturale. La posizione medica attuale, secondo cui la menopausa ha un negativo impatto sulla vita di una donna, potrebbe essere imputabile al fatto che il sistema medico sia maschilista: i medici maschili potrebbero non essere in grado di capire pienamente come la donna vive la menopausa. Studi su donne in menopausa hanno evidenziato che molte donne sono sollevate al manifestarsi della menopausa piuttosto che dispiaciute. In altre parole molte sono le donne che vivono la menopausa come un'esperienza positiva piuttosto che negativa.
Con l'allungamento dell'aspettativa di vita, i periodi della menopausa e post-menopausa stanno assumendo via via un significato sempre più importante nella vita di una donna. Infatti la donna media di oggi può aspettarsi di vivere in fase post-menopausale come minimo un terzo della propria vita. L'approccio medico attuale alla menopausa implica principalmente il ricorso alla terapia ormonale sostitutiva, che si basa sulla combinazione di estrogeni e progesterone. La questione è ovviamente se la terapia sostitutiva ormonale sia necessaria; il lettore interessato all'argomento può trovare informazioni aggiuntive in merito in 'Menopausa' (46).

Piante medicinali indicate per la menopausa



Numerosi estratti di piante medicinali espletano un effetto tonico sul sistema endocrino femminile.
Si pensa che tale effetto tonico sia il risultato dell'azione di fìtoestrogeni unitamente alla capacità degli estratti di aumentare il flusso sanguigno agli organi femminili.
Gli estratti nutrono e tonificano l'apparato ghiandolare e gli organi femminili piuttosto che espletare un effetto farmacologico-simile. Questo meccanismo d'azione aspecifico rende numerose piante utili in numerose condizioni femminili. I fìtoestrogeni sono contenuti in numerose piante medicinali tradizionalmente impiegate per il trattamento di condizioni oggi trattate con estrogeni.
Le piante contenenti fìtoestrogeni offrono vantaggi significativi in confronto agli estrogeni, nel trattamento dei sintomi della menopausa. Mentre tanto gli estrogeni di sintesi quanto quelli naturali possono porre significativi rischi per la salute, come un aumentato rischio di tumori, di malattie della cistifellea e di patologie trombo-emboliche (ictus, attacchi cardiaci, ecc.), i fìtoestrogeni non sono mai stati associati a questi effetti collaterali. Infatti, studi sperimentali condotti su animali hanno dimostrato che i fìtoestrogeni sono efficaci nell'inibire tumori mammari, non solo perché vanno a occupare i recettori degli estrogeni, ma anche in virtù di altri meccanismi antitumorali non correlati al precedente (47).
I fìtoestrogeni contenuti nelle piante medicinali hanno indotto effetti estrogenici, anche se la loro potenza è al massimo pari al 2% di quella degli estrogeni (48). Tuttavia, a causa di questa bassa attività, i fìtoestrogeni esercitano un effetto di bilanciamento sugli effetti degli estrogeni: se i livelli di estrogeni sono bassi, i fitoestrogeni ne promuovono gli effetti, se i livelli di estrogeni sono elevati, i fìtoestrogeni ne riducono gli effetti.
A causa dell'azione di regolazione espletata dai fitoestrogeni sugli effetti indotti dagli estrogeni, accade comunemente che le medesime piante indicate per condizioni legate a un eccesso di ormoni (ad esempio nella sindrome premestruale) vengano anche raccomandate per il trattamento di condizioni caratterizzate da carenza ormonale (come ad esempio menopausa, sindrome premestruale e anormalità mestruali). Molte di queste piante sono state definite "tonici uterini". Le quattro piante medicinali d'elezione per il trattamento delle vampate di calore sono l'Angelica o Dong quai (Angelica sinensis), la radice di Liquirizia ( Glycyrrhiza glabra), le bacche di Agnocasto ( Vitex agnus-castus) e la Cimicifuga (Cimicifuga racemosa). Queste piante sono state impiegate tradizionalmente per attenuare una varietà di disturbi femminili, tra cui le vampate.
Sebbene queste erbe siano efficaci individualmente, combinandole è possibile ottenere un benefìcio anche maggiore. La maggior parte dei fornitori di prodotti a base di piante medicinali propongono preparati a base delle suddette piante. Sono da utilizzare marche rinomate e da seguire le indicazioni posologiche riportate sull'etichetta. Per l'Angelica e la Liquirizia cfr le rispettive Monografie. Di seguito vengono brevemente discusse le piante Agnocasto e Cimicifuga.
Bacche di Agnocasto
L'albero dell'Agnocasto è nativo dell'area mediterranea. Le sue bacche sono state impiegate da tempo per il trattamento dei disturbi femminili. Come dice il nome, le bacche venivano impiegate per sopprimere la libido. In un lavoro l'Agnocasto ha dimostrato effetti sulla funzione della ghiandola pituitaria (49). I suoi benefici effetti in menopausa potrebbero essere ascritti principalmente ad una alterazione della funzione pituitaria.
La dose giornaliera prevede l'assunzione di 30-40 mg di semi di Agnocasto, o dose equivalente dei preparati corrispondenti.
Cimicifuga
La Cimicifuga fu ampiamente impiegata dagli Indiani d'America, e più tardi dai colonizzatori americani, per alleviare i dolori mestruali e la menopausa. Una ricerca scientifica recente ha supportato l'uso delta la Cimicifuga sia per la dismenorrea, sia per la menopausa. Studi clinici hanno dimostrato che l'estratto di Cimicifuga allevia non solo le vampate, ma anche la depressione e l'atrofia vaginale (50). Oltre a esplicare effetti di tipo vascolare, la Cimicifuga agisce riducendo i livelli di ormone luteinizzante (LH): questo effetto implica che ha un significativo effetto estrogenico. Il Remifemin®, un prodotto in commercio in Germania, è l'alternativa naturale più popolare alla terapia ormonale. Dosi da assumere tre volte al giorno:

. Radice in polvere o in forma di infusi: 1-2 g
. Estratto fluido (1:1): 4 mi (1 cucchiaino da thè)
. Estratto solido (polvere secca) (4:1): 250-500 mg
. Remifemin® (contenente 1 mg di 27-deossiacteina per tavoletta):
due tavolette, due volte al giorno.

Da: Il Potere delle Piante Medicinali
Autore: Michael T. Murray, N.D.
Editore: CEC
Planta Medica Edizioni

Pubblicato da Amministratore di mercoledì 23 febbraio 2005 alle ore 12:01 Commenti (0)

L'Impotenza

IMPOTENZA

II termine impotenza è sempre stato utilizzato per indicare l'incapacità da parte dell'uomo di conseguire e mantenere un'erezione del pene sufficiente a permettere un soddisfacente rapporto sessuale.
Nella maggior parte dei casi, impotenza si riferisce più precisamente a una disfunzione erettile, poiché questo termine si differenzia dalla perdita della libido, eiaculazione precoce o incapacità a raggiungere l'orgasmo. Si stima che un numero compreso tra i 10 e i 20 milioni di uomini sia affetto da disfunzione erettile. Questo numero è peraltro destinato ad aumentare significativamente in conseguenza all'aumento dell'età media della popolazione. Attualmente, si suppone che più del 25% degli uomini, di età superiore ai 50 anni, abbia una disfunzione erettile. Sebbene la frequenza della disfunzione erettile aumenti con l'età, va sottolineato che l'invecchiamento di per sé non è causa di impotenza. Sebbene la quantità e la potenza dell'eiaculato, così come la necessità di eiaculare, diminuisce con l'età, la capacità di erezione si conserva. Gli uomini sono in grado di conservare la propria virilità sessuale oltre gli ottanta anni.
La disfunzione erettile può essere dovuta a fattori organici o psicologici. Nella stragrande maggioranza dei casi la causa è organica, cioè legata a fattori fisiologici. Infatti, negli uomini al di sopra dei 50 anni, le cause organiche sono responsabili per oltre il 90% dei casi di disfunzione erettile.
L'aterosclerosi dell'arteria peniena costituisce la causa principale di impotenza in circa la metà degli uomini di età superiore ai 50 anni che soffrono di disfunzione erettile.
Piante medicinali indicate per l'impotenza L'unico farmaco approvato dalla FDA per il trattamento dell'impotenza è la yohimbine, alcaloide isolato dalla corteccia dell'albero dello Yohimbae (Pausinystalia yohimbe) originario dell'area tropicale dell'Africa occidentale. Il cloridrato di yohimbine induce un incremento della libido, ma la sua azione principale consiste nell'aumentare il flusso sanguigno al tessuto erettile. Contrariamente a un preconcetto popolare, la yohimbine non esercita alcun effetto sui livelli di testosterone. Quando impiegata da sola, la yohimbine ha dimostrato di essere efficace nel 34-43% dei casi (42). Tuttavia, gli effetti collaterali ne rendono difficoltoso l'impiego. La yohimbine può indurre ansia, attacchi di panico e allucinazioni in alcuni individui. Altri effetti collaterali comprendono aumenti della pressione sanguigna e del battito cardiaco, vertigine, cefalea e vampate. La sostanza inoltre, non dovrebbe essere impiegata da individui con malattie renali, dalle donne e da individui affetti da disturbi della psiche. La corteccia dello ioimbe, per il suo contenuto in yohimbine, è stata classificata dalla FDA come pianta non sicura ed io penso che tale classificazione sia giustificata.
Nella mia esperienza d'uso nei pazienti ho avuto modo di appurarne la difficoltà di impiego, legata agli effetti collaterali. Alcuni uomini sono molto più sensibili rispetto ad altri. Lo ioimbe, per la sua significativa attività, può indurre gli stessi effetti collaterali della yohimbine. E' mia opinione che ioimbe e yohimbine debbano essere utilizzati al meglio sotto controllo medico. Oltre alla problematica degli effetti collaterali associati all'impiego delle preparazioni di ioimbe disponibili in commercio, ho anche il sospetto che non tutti i prodotti in commercio siano di qualità controllata. Per quanto a mia conoscenza nei negozi di vendita, non esistono fonti commerciali di corteccia di ioimbe che effettivamente dichiarino la concentrazione di yohimbine per dose e senza questa informazione è virtualmente impossibile prescrivere un dosaggio efficace e consistente. Una delle piante medicinali migliori da impiegare nel caso di disfunzione erettile o perdita della libido è il "Legno della potenza", anche noto come Muira puama (Ptychopetalum olacoides). Questo arbusto è originario del Brasile ed è stato lungamente impiegato come afrodisiaco e stimolante del sistema nervoso nella medicina tradizionale del Sud America. Un recente studio clinico ne ha confermata la sicurezza d'uso e l'efficacia nel migliorare la libido e la funzione sessuale in alcuni pazienti (43). Jacques Waynberg (Institute of Sexology, Parigi, Francia) ha condotto uno studio clinico su 262 soggetti, con perdita della libido e con inabilità a raggiungere o mantenere l'erezione, e ha dimostrato che l'estratto di Muira puama è efficace in molti casi. Alla dose di 1.0-1.5 g/die, già dopo due settimane, il 62% di soggetti con perdita di libido ha riportato che il trattamento esercitava un effetto dinamico, mentre il 51% di soggetti con disfunzione erettile hanno riscontrato un beneficio. Attualmente, il meccanismo d'azione del Muira puama è sconosciuto. Dati preliminari fanno supporre che agisca sia sugli aspetti psicologici che fisici della funzione sessuale. In futuro le ricerche chiariranno le incognite su questa pianta, che è promettente per il trattamento della disfunzione erettile. Altre piante che possono indurre effetti benefici sono il Ginkgo, il Ginseng, il Pygeum africanum e il Serenoa.

Da: Il Potere delle Piante Medicinali
Autore: Michael T. Murray, N.D.
Editore: CEC
Planta Medica Edizioni

Pubblicato da Amministratore di mercoledì 23 febbraio 2005 alle ore 11:29 Commenti (0)

Il Diabete

DIABETE
II diabete si divide in due principali categorie: tipo I e tipo II.
Il tipo I o diabete mellito insuline-dipendente (IDDM) si riscontra più frequentemente in bambini e adolescenti. Esso è associato alla completa distruzione delle cellule beta del pancreas, che producono l'insulina.
I diabetici di tipo I necessitano della somministrazione per tutta la vita di insulina per controllare i livelli di zucchero del sangue; essi devono imparare a gestire i propri livelli glicemici su base quotidiana, modificando gli schemi di dosaggio dell'insulina a seconda delle necessità, sulla base di test continui di controllo della glicemia. Circa il 10% della popolazione diabetica rientra nel tipo I. Sebbene l'esatta causa del diabete di tipo I sia ignota, la teoria corrente suggerisce che sia dovuta al danno delle cellule beta produttrici di insulina associato a un certo difetto nella capacità di rigenerazione dei tessuti. In sostanza le cellule beta sono distrutte dagli anticorpi prodotti dai globuli bianchi per distruggere microrganismi infettanti, come virus e batteri.
In alcune condizioni patologiche, gli anticorpi vengono sviluppati contro i tessuti dell'organismo stesso: queste condizioni vengono definite malattie autoimmuni.
Il diabete di tipo I sembrerebbe avere una componente eziologica autoimmune dal momento che il 75% dei diabetici di tipo I presenta anticorpi per le cellule beta, in confronto a 0.5-2.0% in soggetti non diabetici.
E' probabile anche che gli anticorpi contro le cellule beta si sviluppino in risposta alla distruzione cellulare causata da altri fattori (sostanze chimiche, radicali liberi, virus, allergie alimentari, ecc.). Sembra che i soggetti non diabetici non sviluppino severe reazioni anticorpali, o che siano più efficienti nel riparare il danno subito.
Il diabete di tipo II o diabete mellito non-insulino dipendente (NIDDM) generalmente si manifesta dopo il 40esimo anno di età. Il diabete di tipo II rappresenta sino al 90% dei casi totali di diabete. I livelli di insulina sono normalmente elevati e ciò sta ad indicare una perdita di sensibilità all'insulina da parte delle cellule dell'organismo. L'obesità rappresenta il più importante fattore eziologico per l'insorgenza di tale condizione. Approssimativamente il 90% dei soggetti affetti da diabete di tipo II è obeso. Nella maggior pane dei casi il ritorno al peso forma riporta la glicemia a livelli normali.
Nel diabete di tipo II la dieta ha un ruolo di primaria importanza e dovrebbe essere esaminata in modo scrupoloso, prima di tentare l'approccio farmacologico: infatti, la maggior parte dei casi di diabete di tipo II può essere controllata solamente con la dieta. Ciononostante, zelanti medici spesso ricorrono a farmaci od insulina.
Altri tipi di diabete includono:
- forme di diabete secondarie ad altre condizioni e sindromi, tra le quali malattie pancreatiche, alterazioni ormonali, farmaci e malnutrizione;
- diabete gestazionale, una forma di intolleranza al glucosio, che si manifesta durante la gravidanza;
- diminuita tolleranza al glucosio, condizioni diabetiche che vanno da pre-diabetiche a chimiche, latenti, borderline, subcliniche ed asintomatiche.



Necessità di un adeguato monitoraggio
Quando si impiegano piante medicinali o altri rimedi naturali per migliorare il metabolismo del glucosio, è indispensabile che i suoi livelli siano scrupolosamente monitorati, in particolare se il paziente soffre di una forma di diabete relativamente non controllabile. Una attenta osservazione dei sintomi, il monitoraggio domestico del glucosio e il test dell'emoglobina glicosilata (HgbAlc) sono al momento i parametri più attendibili per il controllo di un soggetto diabetico. E' bene ricordare che allorché il soggetto diabetico dovesse utilizzare le piante medicinali, così come la dieta, per migliorare il controllo della glicemia, i dosaggi dei tarmaci andrebbero modificati. Una buona collaborazione con il medico è di estrema importanza.


Piante medicinali indicate per il diabete
Prima dell'avvento dell'insulina, il diabete era trattato con piante medicinali. Nel 1980 la World Health Organization (WHO) ha invitato i ricercatori ad esaminare se i rimedi tradizionali fossero dotati di una qualche efficacia. Nell'arco degli ultimi 10-20 anni le ricerche scientifiche hanno in effetti confermato l'efficacia di numerosi tra questi preparati, alcuni dei quali presentano un'efficacia significativa. La presentazione sarà limitata per necessità a poche piante, quelle che risultano essere più attive, relativamente non tossiche e la cui efficacia sia supportata da dati adeguati.
Vengono discusse le seguenti piante: Cipolla e Aglio, Momordica charantia, Gymnema, Fieno greco, Atriplice alimo e Pterocapus marsupium. Tre ulteriori piante medicinali (estratti di Mirtillo, Semi d'uva e Ginkgo) vengono presentate in considerazione dell'importante ruolo svolto nelle complicanze del diabete.
Sebbene le piante suddette posseggano la capacità di diminuire i livelli glicemici, il trattamento naturale corretto ed efficace richiede anche un'adeguata integrazione con la dieta, con integratori nutrizionali e con opportuni cambiamenti dello stile di vita.



Cipolla e Aglio
Cipolla.(Allium cepa) e Aglio (Allium sativum) hanno dimostrato un'azione ipoglicemica (16,17).
Si pensa che i principi attivi siano composti contenenti zolfo, come allilpropil disolfuro (APDS) e diallil-disolfuro ossido (allicina), sebbene anche altri composti, come i flavonoidi, possano a loro volta avere un ruolo.
Gli effetti cardiovascolari di Aglio e Cipolla, ovvero le azioni ipocolesterolemica ed ipotensiva, supportano ulteriormente l'opportunità di impiegarli nei pazienti affetti da diabete.



Momordica charantia
II Momordica charantia, anche detto balsam pear, è un frutto tropicale ampiamente coltivato in Asia, Africa e Sud America. Il frutto acerbo è utilizzato come un ortaggio. Il Momordica charantia è un frutto verde a forma di cetriolo, tutto ricoperto di protuberanze. Ha l'aspetto di un bruttissimo cetriolo. Oltre ad essere mangiato come una verdura, il Momordica charantia è stato impiegato diffusamente nella medicina tradizionale come rimedio per il diabete. L'azione ipoglicemica del succo fresco o dell'estratto del frutto acerbo è stata ben documentata sia nell'uomo sia in modelli sperimentali (18,19). Il Momordica charantia contiene numerose sostanza dotate di accertate proprietà antidiabetiche. La charantina, costituita da una miscela di steroidi estratti con alcol, è un agente ipoglicemizzante con attività più elevata del farmaco ipoglicemizzante orale tolbutamide. La Momordica charantia contiene inoltre un polipeptide simile all'insulina, il polipeptide P, che ha azione ipoglicemizzante quando iniettato sottocute nei soggetti affetti da diabete di tipo I (20). Dal momento che sembra indurre un minor numero di effetti collaterali rispetto all'insulina, ne è stato suggerito l'impiego in alternativa ad essa, per taluni pazienti.
La somministrazione orale di preparazioni a base di Momordica charantia ha mostrato buoni risultati in studi cimici condotti su pazienti con diabete di tipo II (18,19).
In uno studio la tolleranza al glucosio risultò migliorata nel 73% dei pazienti trattati con 57 mi di succo (18). L'area sottesa alle curve di tolleranza del glucosio nei pazienti trattati con Momordica charantia era 187 cm2, in confronto al valore basale di 243.6 cm2. In un altro studio, 15 g di estratto acquoso di Momordica charantia ha indotto una riduzione del 54% della glicemia postprandiale e del 17% dell'emoglobina glicosilata, in sei pazienti (19). La Momordica charantia acerba è disponibile principalmente nei negozi di frutta e verdura asiatici. I punti vendita di alimenti salutistici possono avere l'estratto di Momordica charantia, sebbene forse sia meglio utilizzare il succo fresco, che è stato impiegato in diversi studi. Il succo di Momordica charantia è secondo la mia opinione difficile da rendere gradevole al palato. Come già il suo nome lascia intendere, esso è effettivamente molto amaro. Se uno desidera conseguire gli effetti fitoterapici, semplicemente chiuda il naso e beva 60 mi di succo. Il dosaggio di altre formulazioni dovrebbe essere approssimativamente lo stesso.



Gymnema
La Gymnema (Gymnema silvestre) è una pianta originaria delle foreste tropicali dell'India, ed è stata lungamente impiegata per il trattamento del diabete. Recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato la sua efficacia nel diabete di tipo I e di tipo II (21,22). La Gymnema è probabilmente la pianta più indicata per migliorare il controllo della glicemia nei soggetti diabetici. Estratti di Gymnema di elevato livello qualitativo sono disponibili nei negozi di alimenti salutistici.
La Gymnema ha fatto la sua comparsa sul mercato americano qualche anno fa. In origine veniva pubblicizzata come 'bloccante dello zucchero: i produttori infatti dichiaravano erroneamente che l'erba potesse bloccare l'assorbimento di zucchero a livello gastrointestinale, permettendone la sua eliminazione. Sono stati diffusi claim pubblicitari del tipo 'come tagliare le calorie dello zucchero senza tagliare lo zucchero. Si trattò secondo me di una spudorata distorsione della realtà. I componenti della Gymnema, come ad esempio l'acido gymnemico, bloccano la sensibilità per il gusto dolce quando applicati sulla lingua. Questo aspetto ha mostrato di possedere una certa significatività dal punto di vista clinico.
I soggetti che avevano applicato l'estratto di Gymnema sulla lingua consumavano una minore quantità di calorie per pasto, rispetto ai soggetti non trattati.
Deve essere rimarcato che i soggetti applicavano l'estratto sulla lingua e non lo assumevano in tavolette o capsule, che non avrebbe indotto lo stesso effetto.
Gli estratti di Gymnema migliorano il controllo dei livelli di glicemia in cani e conigli diabetici. E' interessante il fatto che in animali privati del pancreas la Gymnema non esercita alcun evidente effetto e pertanto si ipotizzare che la Gvmnema stimoli la produzione di insulina endogena. I risultati ottenuti in studi sperimentali condotti sugli animali hanno suggerito che essa agisca sulla rigenerazione delle cellule beta del pancreas che producono insulina. Gli studi condotti sull'uomo sembrano supportare questa ipotesi, sia nel diabete di tipo I, che di tipo II (21,22). Un estratto di foglie di Gymnema somministrato a 27 pazienti affetti da diabete di tipo I in terapia con insulina ha ridotto la richiesta di insulina e i livelli della glicemia a digiuno, migliorando
Il controllo della glicemia (21). Questo studio ha confermato i precedenti studi condotti sugli animali. Per quanto concerne il meccanismo d'azione della Gymnema nel diabete di tipo I, sembra che aumenti l'azione dell'insulina. Inoltre, sussiste qualche evidenza che possa rigenerare o rivitalizzare le cellule beta del pancreas.
L'estratto di Gymnema ha altresì mostrato risultati positivi nel diabete di tipo II (22). In uno studio, a 22 soggetti affetti da diabete di tipo II è stato somministrato estratto di Gymnema in associazione ad un farmaco ipoglicemizzante orale. Tutti i pazienti hanno mostrato un migliorato controllo dei livelli glicemici, 21 su 22 hanno ridotto notevolmente il dosaggio farmacologico e 5 hanno potuto sospendere il trattamento con i tarmaci, mantenere il controllo della glicemia con il solo estratto di Gymema. Il dosaggio per l'estratto di Gymnema è pari a 400 mg/die per il diabete di tipo I e di tipo II.
E' interessante notare che l'estratto di Gymnema non produce effetti collaterali ed esercita l'effetto ipoglicemizzante solo in presenza di diabete: infatti, quando somministrato a volontari sani esso non produce alcun effetto ipoglicemizzante (22).



Fieno greco
I semi di Fieno greco (Trigonella foenumgraecum) hanno mostrato significativi effetti antidiabetici in studi sperimentali e clinici. Il principio attivo è rappresentato dalla porzione delipidizzata del seme che contiene l'alcaloide trigonellina, acido nicotinico e cumarina.
La somministrazione di 1.5-2.0 g/kg di seme delipidizzato, a cani sani e diabetici, ha diminuito i livelli glicemici a digiuno e postprandiali, glucagone, somatostatina, insulina, colesterolo totale e trigliceridi, mentre aumentava i livelli di colesterolo HDL (23). Gli studi condotti sull'uomo hanno confermato tali effetti. La polvere di seme delipidizzato di fieno greco, somministrata due volte al giorno alla dose di 50 g a soggetti diabetici insuline-dipendenti, ha diminuito significativamente i livelli glicemici a digiuno e ha migliorato i risultati del test di tolleranza al glucosio (24). Si è inoltre rilevata una riduzione del 54% nell'escrezione di glucosio urinario delle 24 ore e riduzioni significative dei livelli di colesterolo LDL e VLDL e di trigliceridi.
Nei soggetti diabetici non insulino-dipendenti la somministrazione di 15 g di polvere di seme di fieno greco acqua ha diminuito in modo significativo i livelli di glucosio postprandiale durante il test di tolleranza al pasto (25). Questi dati suggeriscono che i semi di fieno greco o la polvere di semi delipidizzati dovrebbero essere inclusi nella dieta dei soggetti diabetici.



Atriplice alimo
L'atriplice (Atriplex halimus) è un arbusto ramificato di bosco originario dell'area mediterranea, nord africana e sud europea. Esso è in special modo diffuso nella zona della valle del Giordano in depressioni e oasi saline e rappresenta il nutrimento del ratto del deserto. I ricercatori iniziarono a investigare i possibili benefici fitoterapici dell'Atriplice nell'uomo, quando si notò che i ratti del deserto, alimentati con una dieta standard per ratti di laboratorio, sviluppavano una grave forma di diabete. Alimentando poi gli stessi animali con Atriplice era possibile indurre la reversione della malattia. Gli studi clinici condotti in Israele sull'uomo hanno dimostrato che Atriplice è efficace in diabetici di tipo II (26,27). I livelli glicemici e la tolleranza al glucosio erano migliorati.
L'Atriplice è ricco di fibre, proteine e numerosi oligominerali, tra cui il cromo. La posologia impiegata negli studi sull'uomo era 3 g/die.



Pterocarpus marsupium
Lo Pterocarpus marsupium ha una lunga storia di impiego in India per il trattamento del diabete.
L'(-)-epicatechina, il flavonoide estratto dalla corteccia di questa pianta previene il danno delle cellule beta nei ratti. Inoltre, sia l'epicatechina, sia l'estratto alcolico grezzo di Pterocarpus marsupium migliora la funzionalità delle cellule beta in animali diabetici (28,29). L'epicatechina si trova anche nel thè verde (Camelia sinensis). Dal momento che non esistono preparazioni a base di Pterocarpus disponibili in commercio negli USA, il thè verde può rappresentare un'utile alternativa. Si dovrebbero consumare almeno due tazze/die di thè verde.



Estratti di Mirtillo, Semi d'uva e Ginkgo
Gli estratti di Mirtillo (Vaccinium myrtillus), di Semi d'uva (Vitis vinifera) e di Ginkgo (Ginkgo biloba) inducono effetti significativi nei diabetici. I componenti attivi degli estratti sono i flavonoidi. I flavonoidi incrementano i livelli di vitamina C, riducono l'aumento di permeabilità e la rottura dei piccoli vasi, prevengono le facili contusioni ed hanno un significativo effetto antiossidante. Questi effetti sono molto utili quando esistono anomalie microvascolari da diabete e a prevenire la retinopatia diabetica. Sebbene tutti e tre questi estratti siano attivi, quelli di Mirtillo e di Semi d'uva sono probabilmente da preferire nella prevenzione e nel trattamento della retinopatia diabetica, mentre l'estratto di Ginkgo sembra più adatto per la prevenzione ed il trattamento delle alterazioni a carico di vasi e nervi periferici. Le dosi sono riportate nelle rispettive Monografie.



Da: Il Potere delle Piante Medicinali
Autore: Michael T. Murray, N.D.
Editore: CEC
Planta Medica Edizioni

Pubblicato da Amministratore di martedì 22 febbraio 2005 alle ore 23:35 Commenti (0)

Piante medicinali in fitoterapia

Monografie Piante Medicinali


Le piante hanno una diversità biochimica molto più ricca degli animali e almeno i quattro quinti dei metaboliti secondari oggi conosciuti sono di origine vegetale. La spiegazione di questo fenomeno risiede probabilmente nel fatto che le piante sono vincolate al suolo e devono evolvere una molteplicità di meccanismi di adattamento. I prodotti del metabolismo secondario sono in pratica gli intermediari con cui gli organismi vegetali comunicano con l’ambiente che li circonda, con lo scopo di trovare le condizioni più adatte per poter vivere, convivere, sopravvivere e riprodursi. Dal punto di vista filogenetico, l’interazione piante animali ha sviluppato moltissimi messaggeri chimici comuni. Dal punto di vista evolutivo, si possono distinguere un adattamento fisiologico e un adattamento biochimico: da quest’ultimo dipende principalmente la diversità chimica nella composizione delle piante. Un farmaco è un composto chimico che, dopo essere stato assunto, ha la capacità di provocare una risposta fisiologica; dato l’enorme numero di costituenti chimici diversi, è molto comune trovare sostanze attive all’interno del regno vegetale. In effetti, le piante si sono rivelate le uniche risorse medicamentose che l’uomo abbia potuto utilizzare praticamente per quasi tutto il percorso della sua storia. Solamente a partire dal XIX Secolo, si è avuta l’introduzione di principi attivi vegetali isolati allo stato puro, la sintesi chimica e, soprattutto, l’impiego della modulazione chimica.. A tutt’oggi, circa il 40% dei farmaci monomolecolari moderni deriva direttamente o indirettamente ancora dalle piante. Classi importanti di farmaci di origine vegetale [6] sono quelle degli antiinfiammatori non steroidei derivate dall’acido salicilico, degli antitumorali (vincristina, vinblastina, irinotecan e topotecan, etoposide e teniposide, tassoli), degli stimolanti del sistema nervoso centrale (caffeina, cocaina), dei cardiostimolanti (digitale), degli anestetici locali (procainamide), degli antiaritmici (chinidina), dei narcotici analgesici (morfina, codeina), dei miotici e antiglaucoma (atropina, pilocarpina), dei bloccanti neuromuscolari (tubocurarina, vecuronio), degli antimalarici (chinina, clorochina, derivati dell’artemisinina) e degli anticoagulanti orali (warfarin, acenocumarolo). L’impiego primitivo delle piante per gli scopi medicinali avveniva sulla base di esperienze empiriche maturate utilizzando direttamente la pianta stessa, fresca o essiccata (droga), oppure sottoposta a procedimenti di estrazione molto semplici, quali gli infusi e i decotti con acqua o i macerati con alcool o liquidi alcoolici (tinture). Di un numero significativo di preparazioni vegetali tradizionali è stato addirittura prodotta l’evidenza dell’efficacia terapeutica sulla base di studi clinici controllati. L’impiego medicinale delle piante ha conosciuto un rapido declino da quando nei paesi sviluppati hanno cominciato ad essere disponibili potenti farmaci sintetici, ma nei paesi del terzo mondo l’etnomedicina basata sulle piante rimane popolare ancora ai nostri giorni (p.e., la medicina Ayurvedica in India, la medicina Kampo in Giappone e la medicina tradizionale Cinese). In altri paesi (p.e., Germania, Francia), la fitoterapia ha continuato a coesistere con la moderna terapia farmacologica. Questa situazione è recentemente cambiata. L’impiego dei prodotti medicinali vegetali da parte della popolazione generale degli USA è cresciuto di uno stupefacente 380% fra il 1990 e il 1997; l’aumento annuale è stato del 2,5% nel 1990 e ha raggiunto il 12,1% nel 1997. Nel Regno Unito, la fitoterapia costituisce oggi la più popolare pratica medica fra tutte le terapie complementari e in Germania una media annuale della popolazione generale pari al 65% fa ricorso ai farmaci vegetali. Naturalmente i procedimenti utilizzati nei tempi più moderni per la produzione delle sostanze attive sono almeno in larga parte diversi da quelli del passato. Esemplificativa è la nuova metodologia di estrazione di principi lipofili basata sull’uso di anidride carbonica in condizioni supercritiche (ca. 250 atmosfere di pressione a 60° C). Da qualche tempo vengono inoltre impiegati i metodi del frazionamento bioguidato, che permettono di ottenere da un estratto grezzo più frazioni ciascuna con un solvente differente; sottoponendo le frazioni ad un saggio farmacologico, è possibile scoprire quelle in cui si è verificata la maggiore concentrazione di principi attivi ed avere indicazioni che guidano al loro isolamento in forma pura. Un caso esemplificativo dei problemi che si incontrano nello studio e lo sviluppo terapeutico dei prodotti vegetali, è dato da Passiflora incarnata L. (Passifloraceae) [2] [3] [5], nota anche come fiore della passione. Questa pianta viene impiegata da secoli praticamente in tutto il mondo per il trattamento dell’ansia e dell’insonnia e, nelle medicine tradizionali e popolari, anche dell’epilessia, degli spasmi muscolari e di altre malattie consimili. Studi fitochimici hanno appurato che P. incarnata contiene vari flavonoidi, composti glicosidici, alcaloidi dell’armalo e un derivato g-benzopiranico denominato maltolo. Fino a pochi anni fa, la letteratura di carattere biologico su questa pianta era quasi inesistente e i risultati dei pochi studi effettuati erano estremamente contradditori. La causa di ciò è stata individuata nell’elevata similarità morfologica e microscopica di P. incarnata con P. edulis, una specie, quest’ultima, priva di effetti sul sistema nervoso centrale. Le indagini condotte su campioni autentici di P. incarnata hanno rivelato che solo l’estratto metanolico delle foglie accuratamente separate da altre parti aeree di questa pianta esercita nel topo un’attività ansiolitica alla dose di 100 mg/kg quando gli animali vengono cimentati nel test del labirinto. Gli estratti con altri solventi dei rami, dei fiori e delle radici della stessa pianta sono risultati assolutamente privi di attività ansiolitica. L’applicazione di un metodo avanzato di frazionamento bioguidato dell’estratto metanolico delle foglie ha portato alla selezione di una frazione ricca di composti benzoflavonici, la quale ha dimostrato di esercitare un’azione ansiolitica più potente di quella del diazepam. La stessa frazione ha anche sorprendentemente mostrato la capacità di invertire la tolleranza alla morfina e la dipendenza dei topi trattati cronicamente con questo oppiaceo. Lo stesso effetto è stato osservato anche in topi dipendenti dal D9-tetraidrocannabinolo.
Passiflora incarnata L.

L’azione delle droghe e delle preparazioni vegetali, pur svolgendosi con meccanismi che sono propri anche dei farmaci di sintesi, differisce da questi per il fatto di essere essenzialmente polivalente. Questo fenomeno dipende dalla composizione delle droghe e delle preparazioni vegetali, che è costituita da una pluralità di composti strutturalmente anche molto differenti. Come conseguenza, il profilo farmacologico e, in qualche caso, terapeutico è caratterizzato da una molteplicità di effetti nettamente diversi fra loro e che compaiono a dosi diverse. Oltre alla convivenza di effetti in nessun modo correlati fra loro (p.e., l’attività antidepressiva e quella antibiotica dell’iperico [5]), sono possibili effetti di sinergia fra composti che esercitano lo stesso tipo di attività. Non sono escluse neppure interazioni fra costituenti farmacologicamente attivi e costituenti inattivi, con conseguenze anche importanti, come, quelle sulla biodisponibilità dei primi.

ipericina iperforine

Sempre sulla base di quanto presentato, è possibile che un estratto possieda caratteristiche farmacologiche e terapeutiche complessive che differiscono da quelle dei principali singoli costituenti chimici, ma che si rivelano ugualmente utili in medicina. In molti casi, può anche avvenire che i principali costituenti siano singolarmente meno potenti del fitocomplesso o addirittura inattivi. Poiché la preparazione degli estratti rappresenta un passaggio obbligato ai fini della caratterizzazione chimica e biologica di una specie vegetale, è sempre presente il quesito sulla convenienza di sviluppare l’estratto piuttosto che un suo costituente puro, la cui risoluzione dipende dai risultati delle indagini farmacologiche. Per esempio, numerosi studi farmacologici hanno dimostrato che una miscela di alcooli alifatici primari a lunga catena (24-36 atomi di carbonio) estratta dalla cera della canna da zucchero (Saccharum officinarum)[1] esercita una potente attività ipocolesterolemizzante negli animali e nell’uomo. Dosi giornaliere di 10-20 mg di questo estratto (chiamato policosanolo) hanno abbassato il colesterolo-LDL del 17-21% e aumentato il colesterolo-HDL dell’8-15%; negli studi clinici; 20 mg di policosanolo sono risultati efficaci come 10 mg di simvastatina e 10 mg di policosanolo sono risultati efficaci come 10 mg di pravastatina. Il profilo farmacologico di questa miscela è sovrapponibile a quello delle statine, ma il meccanismo d’azione è leggermente diverso. Infatti, mentre le statine inibiscono l’attività dell’enzima HMG-CoA-riduttasi, il policosanolo inibisce la trascrizione del gene che codifica per l’enzima in questione, ugualmente impedendo il completamento della sintesi del colesterolo. Tutti i principali alcooli che compongono il policosanolo esercitano un’attività ipocolesterolemizzante e in particolare l’octacosanolo; tuttavia, nessuno degli alcooli somministrati singolarmente supera in potenza la miscela. Il complesso dei problemi che rende difficoltoso lo studio di un fitocomplesso dipende essenzialmente dalla variabilità della sua composizione chimica. Esemplari di diversa origine della stessa specie vegetale possono infatti avere una composizione chimica quantitativamente o talvolta anche qualitativamente differente, perché differenze nelle caratteristiche ambientali locali possono avere influito sul loro metabolismo secondario. Variazioni nella composizione di piante pur raccolte o coltivate nella stessa zona sono sempre possibili a causa di cambiamenti estemporanei di alcuni fattori ambientali. Molte specie vegetali sono caratterizzate dalla presenza di varianti del chemotipo (p.e., la valeriana), che sono morfologicamente e geneticamente indistinguibili e, di conseguenza, non giustificano la loro separazione in specie o sottospecie distinte. Un’ulteriore fonte di variazioni nella composizione delle droghe e preparazioni vegetali nominalmente uguali è costituita dai processi di lavorazione che le piante medicinali subiscono dopo la raccolta. La composizione chimica di una pianta non è uniforme in tutte le parti che la compongono e quasi tutti i principi attivi sono concentrati in uno specifico organo ed essere invece meno concentrati o assenti in altri. Inoltre, la composizione chimica di una pianta varia durante la crescita e durante il ciclo vegetativo per cui l’esatto momento della raccolta (chiamato tempo balsamico) riveste una importanza fondamentale nel determinare la costanza di composizione fra le droghe di una stessa specie vegetale. Poiché i processi adottati per ottenere le varie preparazioni sono sostanzialmente di frazionamento, è intuitivo che la natura di questi processi costituisca una fonte primaria di diversificazione nella composizione chimica. Procedimenti completamente differenti, come per esempio la distillazione e l’estrazione con un solvente, portano inevitabilmente a composizioni differenti che sono correlate con le caratteristiche chimico-fisiche dei singoli costituenti (p.e., i composti solidi insolubili in acqua e quelli liquidi a bassa tensione di vapore non possono essere presenti in un olio essenziale). Nel caso degli estratti, oltre il tipo di solvente impiegato, possono determinare diversità di composizione il volume del sovente rispetto alla quantità della droga da estrarre, lo stato fisico della droga (livello della frantumazione), il tempo di contatto fra la droga e il solvente, la temperatura di estrazione ed eventuali altri fattori fisici di processo (p.e., l’applicazione di una pressione). Nel caso dell’impiego di miscele di solventi, come per esempio avviene per gli estratti idroalcolici, la composizione è dipendente anche dal rapporto volumetrico fra i solventi impiegati oltre che dai fattori appena illustrati. La composizione chimica delle droghe e delle preparazioni ottenute da una stessa specie vegetale ha un effetto diretto sulle loro attività biologiche, le quali possono variare di conseguenza non solo in dipendenza del contenuto qualitativo e quantitativo dei principi attivi noti, ma anche di costituenti cui non è riconosciuta la partecipazione all’attività biologica (p.e., iperico). La variabilità della composizione chimica e, conseguentemente, dell’attività biologica delle sostanze vegetali, costituisce non solo il maggiore ostacolo per lo studio e l’applicazione terapeutica, ma anche un problema di difficile soluzione per la costruzione di una regolamentazione che voglia garantire la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei farmaci vegetali. L’interpretazione delle proprietà farmacologiche, tossicologiche e cliniche di una pianta è quindi quasi sempre incerta, perché i risultati delle singole sperimentazioni sono riferibili solo alla specifica droga o preparazione sottoposte ad indagine. E’ illustrativo della situazione il caso della kawa: la radice di questa pianta (Piper methysticum)[7] è stata usata per secoli dagli abitanti delle isole del Pacifico come euforizzante durante le feste religiose. In Occidente, ha avuto un recente successo come ansiolitico. Si sono verificati circa 30 casi di gravi effetti tossici a carico del fegato di pazienti che assumevano prodotti a base di kawa, tanto che le autorità dei vari paesi sono state costrette ad imporne il ritiro dal mercato. Un recente esperimento ha dimostrato che l’estratto acquoso della kawa non solo non è epatotossico, ma che addirittura esercita un’azione epatoprotettrice. E’ stato ipotizzato che negli estratti commerciali, per lo più ottenuti con solventi organici, siano presenti dei composti epatotossici che non sono presenti nell’estratto acquoso, ma dati tossicologici su questi estratti che possano risolvere il dilemma non sono al momento disponibili.
Piper methysticum

La verifica della bioequivalenza non è possibile per la maggior parte delle preparazioni vegetali, dato che i principi attivi sono noti solo in parte o totalmente ignoti e non è quindi possibile sapere le concentrazioni ematiche di che cosa occorra determinare negli studi di farmacocinetica. Quando sono noti almeno i principali costituenti chimici attivi, questi composti vengono utilizzati per la standardizzazione degli estratti. In alcuni casi, come marker analitici vengono utilizzati costituenti inattivi. La standardizzazione può essere anche effettuata prendendo come riferimento intere classi di composti quando questi sono determinabili analiticamente con lo stesso metodo; ovviamente, la precisione del titolo degli estratti standardizzati sulla base di una classe chimica diminuisce con l’aumentare del numero dei composti della classe presenti nel fitocomplesso e delle differenze relative nei singoli pesi molecolari. Per esempio, l’escina impiegata per la standardizzazione degli estratti dei semi dell’ippocastano (Aesculus hippocastanum)[5] è costituita da tre gruppi di composti, chiamati a-escina, b-escina e criptoeugenolo; solo nella b-escina si trovano almeno 30 diversi glicosidi di agliconi triterpenici. La ricerca e le industrie più progredite cercano di superare questi problemi mediante l’applicazione di metodiche gascromatografiche avanzate che permettono di ottenere rappresentazioni più complete della costituzione complessiva degli estratti. Un’ulteriore strategia si basa sullo sviluppo delle frazioni arricchite di costituenti attivi, le quali hanno una composizione più omogenea e sono più facilmente controllabili dal punto di vista analitico. Sono oggi disponibili molti studi clinici controllati condotti con prodotti medicinali vegetali, ma purtroppo i loro risultati sono raramente uniformi. Errori nella selezione dei pazienti o nella randomizzazione possono dare origine a risultati falsamente positivi o, più raramente, falsamente negativi, quando si valuta l’evidenza. Il metodo migliore per evitare di cadere in questi errori è quello di effettuare rassegne sistematiche e meta-analisi degli studi clinici condotte sui prodotti di una stessa pianta che diano una certa garanzia di omogeneità; questo approccio minimizza le conseguenze sia della randomizzazione che della selezione dei pazienti non corrette. All’esecuzione di queste rassegne sistematiche e meta-analisi si dedicano organizzazioni come la Cochrane Collaboration e il gruppo di ricercatori della Peninsula Medical School presso l’Università di Exeter & Plymouth in Inghilterra, diretto dal Prof. Edzard Ernst. [4] Utilizzando questo approccio, l’efficacia di un certo numero di medicine vegetali risulta ragionevolmente provata. Nella maggioranza degli altri casi prevale al momento l’incertezza. Esiste tuttavia un notevole accordo sul fatto che, in mancanza di una convincente evidenza di efficacia, l’esperienza empirica maturata nel lungo periodo su determinati prodotti vegetali sia una testimonianza accettabile della loro utilità in medicina. I prodotti vegetali di questa seconda fascia, che sono destinati alla cura di indicazioni minori, sono in procinto di essere regolamentati in base a norme stabilite dalle Direttiva 2004/24/EC del 31 marzo 2004 in procinto di essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle CE.[8]


Bibliografia:

1) A. Bianchi, “Policosanolo, un nuovo ipocolesterolemizzante”, Piante Medicinali, 2002, Vol. 1, n. 5, 234 - 243

2) R. Dhawan et Al., J. Ethnopharmacol., 2001, 78, 165 - 170

3) R. Dhawan et Al., J. Pharm. Pharmacol., 2002, 54, 875 - 881

4) E. Ernst, “La Fitoterapia basata sull’evidenza”, Piante Medicinali, 2004, Vol. 3, n. 1, 28 - 37.

5) ESCOP, “Monographs”, Second Edition, 2003. ESCOP, Exeter, U.K., Thieme, New York, USA

6) Goodman and Gilman, “Le basi Farmacologiche della Terapia”, 1992 Zanichelli, Bologna.

7) M. Kraft et Al., “Fulminant liver failure after administration of the herbal antidepressant kava-kava”, Dtsch. Med. Wochenschr., 2001, 126, 970 - 972.

8) Direttiva 2004/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che modifica, per quanto riguarda i medicinali vegetali tradizionali, la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano.


Daniela Giachetti, Lamberto Monti, Marco Biagi

Società Italiana di Fitoterapia
Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Scienze Ambientali, sezione di Biologia Farmaceutica. Via Tommaso Pendola, 62 53100 Siena

Pubblicato da Amministratore di domenica 21 novembre 2004 alle ore 12:05

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